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Gianluigi
             Secco (1946 - 2020)
        
        
        L’OCCHIO LIQUIDO
        
        
        Stasera ho sentito suonare Ivano dal vivo, forse dopo una
        dozzina d’anni, come un nulla; è stata una cosa
        strana: mi è venuto l’occhio liquido e mi è rimasto
        durante tutta l’esibizione e anche dopo durante il
        lunghissimo applauso che la ha accolta e ancora durante il
        bis; e mi è tornato dopo mentre, nel corso della
        premiazione, mi ha ridato il piacere di ascoltare la sua
        versione musicale di San Gaetan, prima mia canzone
        ‘pubblica’, testo e ‘musica’,
        uscita una quarantina di anni fa.
        
        Ernesto Bellus fraternamente scherzava sui miei ‘più
        di cinquant’anni dedicati alla musica’, almeno
        mi sembrava anche se, ripassando questi ricordi, mi tocca
        dargli ragione.
        
        Non me li sento, non se li sente, non ce li sentiamo tutti
        eppure ...
        
        Anche Ivano ormai li ha nelle mani, nel cuore e nei capelli
        grigi i suoi bei cinquantatrè e passa, tutti che filtrano
        meravigliosamente bene da quel suo strumento
        dall’imponenza incongruente constatata la delicatezza
        del suono. Forse è fatto così perché lui possa appoggiare
        il mento sul bordo nero della tastiera destra a bilanciare
        i contraccolpi dei battiti raddoppiati e triplicati della
        ‘cavatina di Figaro’, forse il più popolare tra
        i suoi cavalli di battaglia (e che cavallo!). Rossini,
        fosse qua, avrebbe l’occhio liquido anche lui e si
        troverebbe a suo agio, credo, con la nostra visione della
        vita che colloca la Musica come paniere maggiore atto a
        contenere cibo e riso – nell’accezione multipla
        del termine – da condividere in perfetta armonia, con
        la memoria in un tempo circolare che contempla passato e
        futuro e dove il presente è solo una posizione istantanea
        sul percorso semprevivo. L’età è la luce pomeridiana
        che illumina la scena e, un po più un po meno, ci illude in
        quella luce radente che a una certa ora indora e rende più
        vivo ogni particolare aumentando i contrasti tra i profili,
        tra i pieni e gli sfondi che raddensa fin quasi a renderli
        irreali! ah già, lo chiamano crepuscolo, termine che mi fa
        nostalgia nonostante la sua sublime bellezza comprenda nel
        senso, oltre al tramonto, anche l’alba; ma la mia
        fede è ancora troppo blanda e mi fa rabbia non poterlo
        rallentare, almeno un poco; perché il tramonto è troppo
        violento in quanto a tempo e rende evidente che ogni attimo
        è unico e non torna più. Urge imparare a goderselo tutto e
        per tutti i canali possibili.
        
        Mentre suona, riesco a persino a decifrare le smorfie di
        Ivano che scuote la testa a labbra strette per veloci
        alternanze orrizzontali – [chissà perché mi viene in
        mente il pulcino Calimero del caroselli sessantini –
        solo che grigio – sorrido - quante cose
        costano-constato in un attimo] che mi introducono e
        accomunano al suo pensiero creativo e a quello del Maestro
        (intendo Rossini) che ci ha messo la base; e ora siamo in
        tre a goderci il gioco interpretativo che dà spessore alla
        ricetta della vicenda (musicale e teatrale). Il librettista
        ci ha messo gli ingredienti; Gioachino, indicato il metodo;
        ma al fornello c’è Ivano che cucina, e tra il
        pubblico anch’io, che lo vedo mentre per un attimo
        lui intrevede me che mentalmente suono con lui. Condivide,
        la sente questa forza che arrivare: sennò che vuol dire
        ‘l’artista era esaltato dal pubblico’. è
        tutta questione di attimi. Guardo anche lo sguardo di
        Ernesto. A proposito di Ernesto: ma si dice Bèllus o
        Bellùs?
        
        
        
        
        
        
        
        
        
        
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